Le Pietre dedicate agli Ebrei

Le pietre di inciampo dedicate agli ebrei a Milano hanno due caratteristiche importanti che già raccontano qualcosa su coloro di cui vogliono tramandare il ricordo:  sono diffuse nella città, non c’è una zona storica in cui si concentrano e spesso sono dedicate a interi nuclei familiari: uomini, donne, bambini, anziani, tutti accomunati dal tragico destino della deportazione.  Tutti andavano uccisi in quanto ebrei.

La distribuzione nella città rimanda a una vicenda di integrazione nel tessuto sociale che pur con luci ed ombre ha accompagnato la storia degli ebrei italiani dall’Unità d’Italia in poi.

La deportazione delle famiglie rimanda invece alla natura stesse dal progetto di sterminio nazista.

A Milano vivevano circa 6000 ebrei al momento dell’emanazione delle leggi razziali, molti dei quali non partecipavano alla vita comunitaria né frequentavano regolarmente la sinagoga. Vivevano la città come luogo di lavoro, di studio, di incontro. Una città che però piano piano diventa ostile, fino a diventare un luogo pericoloso dal quale fuggire in cerca di una disperata salvezza. La stampa italiana già all’inizio del 1938 aveva cominciato una violenta ed agguerrita campagna di stampa contro gli ebrei, il loro affarismo, la loro protervia, la loro volontà di tramare nell’ombra contro il paese in cui vivevano; le parole dovevano preparare gli italiani ad accettare passivamente, come effettivamente fecero in maggioranza, alla campagna persecutoria organizzata dal governo.  

Le schede del censimento organizzato nell’estate del 1938  sono per molti di coloro a cui sono dedicate le pietre il primo incontro con quella che si avviava a diventare una perfetta macchina persecutoria. 

Questa è la caratteristica comune a quasi tutto il materiale, fotografia e parte, che si è riusciti a raccogliere per ricostruire le vite di coloro che sono stati deportati: lì dove non è rimasta una memoria familiare a conservare la tradizione ci sono solo le carte della persecuzione.

Le leggi principali furono promulgate tra settembre e novembre del 1938; a settembre fu decretata l’espulsione di tutti gli alunni e i docenti ebrei dalle scuole di ogni ordine e grado e dalle università, a novembre fu emanato il decreto legge più organico che oltre a stabilire chi era ebreo vietava agli ebrei di sposare i non ebrei, di possedere aziende o terreni che superassero certi limiti, di avere domestici non ebrei e di prestare servizio nelle amministrazioni pubbliche civili e militari. Nei mesi e negli anni successivi molti altri divieti vennero aggiunti spesso attraverso atti amministrativi. 

Per chi avesse meriti particolari era prevista la “discriminazione”, cioè l’esclusione da alcune delle norme persecutorie. 

La raccolta di documenti per ottenere la discriminazione, la richiesta di poter mantenere una donna di servizio anche se non ebrea, le richieste di notizie e le informazioni che si scambiano questura, prefettura, partito fascista sono tutti tasselli di una macchina persecutoria capillare ed efficente. In filigrana emergono talvolta tracce del passato: le generose donazioni al PNF di alcuni,  la partecipazione o meno alla prima guerra mondiale, le dimostrazioni concrete di “attaccamento al fascismo”.

Decine e decine di faldoni raccontano queste vicende nell’Archivio di Stato di Milano. La città in cui si viveva e lavorava che comincia a diventare ostile, ad allontanare dai luoghi da sempre frequentati. Poi ci sono lunghi anni di silenzio.

La macchina persecutoria continua a funzionare non soltanto diventando più rigida, ma aggiornando sempre i dati sulle residenze. La “rubrica degli ebrei residenti a Milano” è un documento fondamentale quando inizieranno gli arresti.

Dopo l’8 settembre e l’occupazione dell’Italia da parte dei nazisti ha inizio anche nella penisola la deportazione degli ebrei. Tutti coloro che vengono arrestati a Milano vengono prima rinchiusi a San Vittore, di alcuni ci resta solo, a parte qualche foto, la firma del registro del carcere, di altri neanche un’immagine, ma solo il verbale di arresto. Alcuni riescono a far giungere lettere e messaggi dal carcere. Le voci femminili fino ad ora silenziose lasciano dietro di sé qualche labile traccia. La macchina persecutoria intanto non si ferma, vengono spezzate le vite degli ebrei ed al contempo i loro beni vengono incamerati. I lunghi elenchi di tutto ciò che viene requisito nelle residenze da mobili di lusso alle povere cose di coloro che conducevano esistenze più modeste raccontano di vite spezzate in ogni loro aspetto. 

L’Egeli, l’ente per la liquidazione dei beni ebraici, procedeva ad incamerare quanto requisito. A Milano fu la  Cariplo a gestire questi passaggi e nei suoi archivi sono conservate le tracce di questi espropri. Alcune case vennero date a nuovi inquilini, le cui case erano state distrutte, dal momento che i proprietari legittimi “erano stati trasferiti ad est”

Anche i luoghi dell’arresto raccontano qualcosa dei mesi dell’occupazione nazifascista: più della metà delle persone cui sono dedicate le pietre sono state arrestate nel tentativo di fuggire in Svizzera, arrestate al confine e rimandate in Italia verso una morte certa. Chi non aveva i mezzi, la forza e lo spirito per organizzare un viaggio del genere venne invece arrestato in città, a casa o nel luogo in cui era sfollato. 

La pietra di inciampo  è comunque posta davanti alla casa di Milano, l’ultima residenza liberamente scelta prima che venisse abbandonata non per libera scelta ma o per l’arresto o per cercare, invano, un luogo più sicuro.