via Paisiello, 7
Jenide Russo

Poche sono le notizie che abbiamo di Jenide, operaia nata a Milano nel 1917.
Viveva con la famiglia ed è entrata nella Resistenza probabilmente grazie al fidanzato, che militava nelle Brigate Garibaldi.
Arrestata in via Aselli mentre portava delle armi sotto la pelliccia.
Di lei ci sono rimaste poche lettere dal campo di Fossoli, brevi pennellate da cui emergono forza e orgoglio.
Jenide Russo nasce a Milano il 23 giugno 1917. Vive a Milano con la madre e due sorelle. Operaia. È una giovane donna che si avvicina alla Resistenza quando conosce Renato, partigiano nella Brigata Garibaldi operante in Valdossola. Nell’ottobre 1943 è staffetta partigiana ed è incaricata del trasporto di armi, munizioni e materiale pericoloso. È arrestata in Via Aselli a Milano con una borsa contenente nitroglicerina. Nel carcere di Monza è torturata perché faccia i nomi dei suoi compagni.
Da un suo biglietto: “Venivo disturbata tutti i giorni perché volevano che io parlassi. Ma io ero più dura di loro e non parlavo. Dì pure che ho mantenuto la parola di non parlare: credo che ora saranno tutti contenti di me”. Da Monza a San Vittore e, a fine aprile 1944, a Fossoli.Il 2 agosto è deportata a Ravensbrück dove si ammala di tifo. Trasferita a Bergen-Belsen muore il 26 aprile 1945 poco dopo la liberazione del campo.

Memorie
LETTERE DA FOSSOLI
Lettera censurata, 30 aprile 1944
“Carissima mamma,
non so se hai già ricevuto la mia lettera; ad ogni modo immagino che ora saprai dove mi trovo. Non pensare che io stia male. Niente affatto! Siamo qui con tutti i nostri fratelli che erano con noi a San Vittore. Si sta tutto il giorno con loro. Ci possiamo quasi considerare in villeggiatura. Ci sono con me le stesse donne che avevo come compagne a Milano. Io sono la capo baracca e non so se riesci a immaginare tua figlia che comanda.
Sto diventando nera per il sole!
Voi mi potete scrivere anche tutti i giorni”
Lettera non datata passata al vaglio della censura
“Carissima mammina, certo saprai dove mi trovo ora: sono nel campo di concentramento di Fossoli, provincia di Modena. Sono partita mercoledì 27 e sono arrivata felicemente giovedì.”
Fossoli 9 maggio 1944, lettera recapitata a mano
“Mamma, come mi dispiace di avervi fatto passare delle ore così angosciosa. Quando mi hanno presa quello che mi faceva più soffrire era il pensiero di te mamma, dispiacere che tu dovevi trovare. Non potevo fare niente per farti avvisare. L’ossessione che tu potessi ammalarti o disperarti per quello che era successo era insopportabile ma pazienza ora è tutto passata e tu sai dove mi trovo e sai che sto benissimo.
(…)
Ti avevo anche detto di mandarmi l’orologio ma tu non me ne parli. L’hai spedito o no? Mi dispiace che tu sia costretta a spendere qualcosa, ma quando verrò a casa, mamma cara, vedrai che ti ricompenserò di quello che fate per me.
Lettera recapitata a mano, 11 maggio 1944
“E ora ti racconto come sono stata arrestata. Sono partita alle 8.30 di casa, ti ricordi? Sono andata a prendere delle cose poi sono andata a portarle a destinazione. Intanto che do la roba, mi sono sentita dietro otto persone con le rivoltelle spianate; mi hanno perquisita. Poi mi hanno portato in macchina fino a Monza e lì mi hanno interrogata. Siccome non volevo parlare con le buone, allora hanno cominciato con nerbate e schiaffi (non spaventarti). Mi hanno rotto una mascella (ora è di nuovo a posto). Il mio corpo era pieno di lividi per le bastonate; però non hanno avuto la soddisfazione di vedermi gridare, piangere e tanto meno parlare. Quello che più mi preoccupava era che volevano venire a casa a perquisire. Sono stata per cinque giorni a Monza in isolamento in una cella, quasi senza mangiare e con un freddo da cani. Venivo disturbata tutti i giorni perché volevano che io parlassi ma io ero più dura di loro e non parlavo (nel pacco avevo dinamite). Poi mi hanno portato a San Vittore.
Lettera recapitata a mano, 27 maggio 1944
Non so se avete saputo che il nostro campo è stato mitragliato senza tuttavia nessuna conseguenza. Non state in pensiero per me e se puoi mandarmi il pacco, inviami il soprabito, il vestito rosso, il sale, dei fiammiferi.
Se avete qualcosa che vi cresce, mandatela pure, perché qui, cara mamma, c’è aria buona e viene fame sovente, ma non privatevene voi. Io qui non so se a Milano si mangia. Scrivetemi qualche cosa di concreto perché la Giorgina quando mi scrive non mi dice quasi niente di casa, invece vorrei sapere qualche cosa di preciso.”