Via Benedetto Marcello, 8
Roberto Lepetit

Roberto Enea Lepetit nasce a Lezza d’Erba (CO) il 29 agosto 1906, figlio di Emilio e Bianca Moretti. All’età di tredici anni perde il padre per un attacco di appendicite. Non ancora ventenne deve abbandonare gli studi per affiancare lo zio nella conduzione dell’impresa di famiglia, prima Lepetit-Dufour e successivamente Ledoga S.A., per la produzione di prodotti chimici e farmaceutici. Poco dopo, nel 1928, anche lo zio viene a mancare e Roberto Lepetit a 22 anni si trova a dover dirigere un importante realtà industriale lombarda. Nel 1929 sposa Hilda Semenza e la coppia avrà due figli, Emilio e Guido. Il gruppo industriale cresce sia in Italia che all’estero collocandosi tra le più importanti aziende italiane del settore. Nel 1930 è iscritto al PNF, ma solo per necessità professionali: in realtà non nasconde ad alcuno la sua avversità al regime e vede con soddisfazione la caduta di Mussolini il 25 luglio 1943.
Subito dopo l’8 settembre si avvicina alla Resistenza alla quale non fa mancare il proprio contributo sia operativo che economico. Sia la Polizia della Repubblica di Salò che la Polizia tedesca cominciano a controllarlo, anche a seguito di informative anonime, ed il 29 settembre 1944 è arrestato in ufficio a Milano e condotto a San Vittore. Tutti i tentativi di liberarlo non hanno successo. Il 17 ottobre 1944 è deportato a Bolzano ed il 20 novembre con il “Trasporto 104” a Mauthausen, matr. 110300. E’ in quarantena sino al 4 dicembre e poco dopo trasferito a Melk. Da qui il 11 aprile 1945 è trasferito ad Ebensee. Muore il giorno prima della liberazione del campo, anche se alcune testimonianze sostengono che sia sopravvissuto ancora per qualche giorno.

Memorie
Buongiorno a tutti e tutte,
sono stato incaricato dall’ANED (Associazione Nazionale Ex Deportati), associazione di cui ho la fortuna di far parte, di intervenire qui oggi.
Mi chiamo Roberto Lepetit, e desidero parlarvi del monumento che si trova alle mie spalle, conosciuto come monumento Lepetit.
Questo monumento è stato voluto e costruito da mia nonna Hilda Lepetit Semenza in ricordo di suo marito Roberto, industriale farmaceutico, impegnato in prima linea nella resistenza contro il nazifascismo, e per questo motivo arrestato e deportato prima a Mauthausen, poi a Melk e infine qui a Ebensee, dove morì il 4 maggio 1945, tre giorni prima che il campo fosse liberato dalle truppe angloamericane.
E’ ancora vivo in me il ricordo del racconto di mia nonna Hilda su come arrivò qui nell’ottobre 1945, alla ricerca del marito, dopo un viaggio pieno di difficoltà, e scoprì che lui era morto in maggio. Le indicarono il luogo, una fossa comune, dove probabilmente erano stati sepolti coloro che erano morti in quei giorni di maggio.
Era una giornata fredda, grigia piovosa. Nel suo animo, il dolore e la desolazione del luogo. La pioggia inzuppava quella terra ancora smossa. Così le venne un pensiero dal cuore: “voglio coprire queste zolle di terra, voglio che chi vi è sepolto abbia una protezione e, per quanto possibile, una degna sepoltura”.
Il suo racconto riusciva a farmi percepire quella sensazione di tristezza, dolore, di freddo umido.
E fu così che chiese all’amico architetto e designer Gio’ Ponti, del quale era stata allieva, di progettare un monumento in ricordo di chi aveva attraversato tanta sofferenza.

Non fu facile, perché si dovettero affrontare mille problemi burocratici, logistici e organizzativi, ma nel 1948, con una cerimonia molto sentita e partecipata, dall’Italia arrivarono più di cento persone, il monumento fu inaugurato.
Questo monumento è stato concepito fin dalla nascita come luogo di raccolta per tutti coloro che non vogliono dimenticare, come luogo dove piangere i propri morti, di ogni nazionalità, credo politico o religioso. Come luogo per tutti.
Per questo motivo lo scorso anno, l’ANED si è incaricata di fare una raccolta fondi per il restauro del monumento e che ha avuto una grande partecipazione. Da ora la famiglia Lepetit affida pienamente questo monumento all’ ANED, che se ne occuperà in futuro, garantendo così la sua conservazione come luogo della memoria collettiva.
In questo periodo storico, si riaccendono ossessioni xenofobe e nazionaliste, si costruiscono nuovi muri e fili spinati. Noi siamo qui oggi a testimoniare che la lotta di chi è passato per questi luoghi non è ancora finita e che tutti insieme la potremo avanti contro le nuove ingiustizie e violenze.